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Viaggio tra lingua e cultura
Di “au pair”, ragazze alla pari, in Italia si sente poco parlare, al contrario, nella maggior parte degli altri Paesi europei (e non solo) l’esperienza au pair è oggi molto diffusa.
Indubbiamente legato alle mansioni tipicamente femminili che la ragazza deve compiere,il classico stereotipo che l’ au pair debba necessariamente essere una Lei viene dovunque facilmente smentito:il mondo au pair infatti è aperto a tutti i giovani dai 17 ai 30 anni circa,senza distinzioni di sesso. Si tratta, di un esperienza linguistico-culturale svolta in un paese straniero con l’ obiettivo, oltre che di apprendere la lingua, di venire a contatto con culture e stili di vita differenti dai propri. La permanenza ha una durata variabile, a discrezione dell’ au pair, variabile da un minimo di uno, due mesi all’ intero anno, durante il quale la giovane sarà ospitata da una famiglia e avrà il compito di occuparsi dei banbini e di piccole faccende domestiche;dall’ altra parte la famiglia ospitante è tenuta a fornirle vitto a alloggio per tutto il periodo con l’aggiunta di un compenso simbolico settimanale, generalmente non inferiore ai 60 €,secondo quanto previsto dallo Statuto Au Pair che vi invito a consultare prima di partire. Per reciproca correttezza è opportuno stipulare un contratto alla buona in cui vengano precisate le mansioni, le competenze richieste e l’orario di lavoro, molto spesso flessibile, ma di non oltre 40 ore settimanali. L’au pair deve inoltre avere la possibilità, ma non l’ obbligo di seguire un corso di lingua e i week-end sono abitualmente giorni di congedo.
La ragazza che decide di intraprendere questo percorso può quindi rivolgersi alle agenzie locali specializzare nel settore (è bene ricordare che però per quanto concerne il nostro Paese risultano ancora piuttosto limitate sia per numero che per diffusione sul territorio) , oppure affidarsi alla grande risorsa di Internet, dove scrivendo “au pair” si apriranno migliaia di siti di collocamento per filles e familles e dove leggendo le condizioni dell’ uno, quelle dell’ altro,scorredo sui costo del servizio e sulla qualità dell’ offerta è piuttosto facile perdersi. Personalmente vi posso assicurare che si trovano più o meno facilmente dei buoni siti, completamente gratuiti, facili da usare e piuttosto efficienti, permettemi di consigliarvene uno che fin ora ha dato risultati soddisfacenti, a cui anch’ io mi sono affidata: http://www.aupairworld.it. Dopo aver creato il proprio profilo con i basilari dati personali e selezionato i requisiti desiderati per il soggiorno( paese, periodo di permanenza, età dei bambini, lingua ecc.) viene richiesta una breve lettera di presentazione e motivazione, possibilmente nella lingua del paese di destinazione, ma non preoccupatevi si tratta di una formalità poco più impegnativa di una pagina di uno dei sempre più numerosi odierni social network!Inizia allora la ricerca delle famiglie rispondenti ai requisiti selezionati e dunque i primi contatti, scambi di mail o telefonate…ed infine giunge il momento della partenza !
Ora non vi voglio annoiare con i consueti trattari post-viaggio, ma vi posso assicurare che sei settimane in un grazioso villaggio sul lago Lecman a dieci minuti in treno da Ginevra sono volate e il tutto, si può dire completamente gratuito, anzi venendo pure pagati!Se da un lato non sono mancati creatività e autocontrollo per tenere a bada , senza annoiare due “dolci terremoti” e concilare le loro mille attività (tra maneggi e campi da tennis mi sono anche fatta una cultura sportiva, vediamone anche il lato positivo, no?) , dall’ altro le soddisfazioni non tardano ad arrivare, quando la sera i birbanti ti vogliono sul letto a raccontare una storiella, col tuo buffo accento italiano di cui se prima ridevano, poi non potevano più farene a meno. Tra un bagno alla spiaggia sul lago , un pomeriggio a Ginevra, un auto messa a disposizione dalla famiglia per i piccoli spostamenti e l’efficienza della ferrovie svizzere, ci si ritrovava al lunedì senza neanche essersi accorti di aver passato un altro indimenticabile week-end in posti bellissimi e sempre nuovi.
Insomma , l’unico visto per la partenza come fille o fils au pair richiede tanta voglia di divertirsi, di mettersi in gioco,di imparare, di conoscere nuove realtà di parlare un’altra lingua, voglia di vivere e sentirti parte di un mondo diverso dal tuo, e infine anche un po’ di adattamento e flessibilità che non guastano mai.
Michela De Stefani
(tra rospi e intrugli di streghe senza processo)
Anche la poesia oggi viene dimenticata. Produzioni poetiche odierne pubblicate e abbandonate. Così ridondanti, così facilmente accessibili. Nulla emoziona, niente è più vividamente descritto. Una poesia immobile, rattrappita. Noiosa ed annoiata. Trascurata perchè non rispondente all’attuale principio del concreto. Un mucchietto di parole, frasi scritte tutte a sinistra ammassate dagli enormi spazi bianchi di destra. A volte però si riscopre ancora lo stupore. A volte ancora permane l’insistenza di un bagliore. Ancora qualcuno ridona alla produzione poetica bellezza, calore, lo stato di sublime necessità. Umilmente la mano di quel qualcuno risponde all’istinto. Innocente cede il passo all’irrazionale. Quell’istinto è di nuovo poesia.
Non servono grandi città, il gusto sofisticato della metropoli per riscoprire sentimenti universali; la meraviglia non necessita di slogan o di pressanti campagne pubblicitarie. Piano piano il verso nasce ad Andreis lucido, schietto, autentico. Il verso di Federico Tavan, poeta friulano delle valli. Così si incontra la sua poesia, umilmente essa si dona e subito si fa amare. Inizialmente Tavan scrive per disperazione, dice. Nel verso emerge una vita passata tra ospedali, ambulatori e centri di igiene mentale: posti che non fanno per lui, come egli stesso afferma, per i suoi comportamenti poco comprensibili, le ansie ricorrenti, i pensieri audaci. Nel suo vissuto Federico Tavan arranca in uno stato precario, non cerca pietà, non ricorre all’autocommiserazione. Esprime se stesso, la sua sofferenza. Poi l’incontro col gruppo culturale Menocchio, immediatamente si scopre la forza della sua scrittura, di quei versi in friulano che suonano come un urlo disperato. Sui quaderni del Menocchio di nuovo quei versi tutti a sinistra ora riempiono il silenzio del bianco che li affianca. Nascono così le prime pubblicazioni e segue la mobilitazione di alcuni scrittori (tra cui l’amico Paolini) affinchè il poeta -nostra preziosa eresia-, com’è stato definito, possa beneficiare della legge Bachelli che concede un vitalizio a cittadini indigenti distintisi nel mondo dell’arte.
Quella di Tavan è arte pura. Scrive per piacere. Fugge con i suoi canti la modernità mentre alla ricerca di sentimenti autentici, di relazioni sincere, della realtà delle parole fagiolo, cane, zucca, Tavan scrive e segna sul foglio il destino di un uomo. Un uomo comune, pifferaio di vite comuni vissute al limite. Ed è proprio l’esperienza del finito che rende pura la sua poesia. Custode di sentimenti che non fanno storia, di vissuti che guastano il paesaggio, il poeta si fa portatore del grido delle pantegane che infangano le mani. Si ribella alla propria condizione, canta il mondo dei non vincenti, ma senza rassegnazione. La sua poesia è un grido universale io muoio su una croce diversa/ mordendo i chiodi/ e spingendo i piedi/ verso il basso a sentire/ l’erba che cresce. La produzione di Tavan nasce in questo modo, tra letture e interpretazioni dei maudit e del caro maestro Pasolini di cui egli continua l’opera in friulano. Ama gli eremiti, gli emarginati, ama le contraddizioni per restare se stesso. Tavan mette in luce l’esistenza di chi è in ombra, porge spiragli di purezza.
Come spesso accade però dopo le prime pubblicazioni la necessità cede il passo all’abitudine. Tavan allora non scrive più, rifugge l’attuale meccanismo dell’efficienza. Mentre le sue pagine conservano valori e valore nel tempo, egli smette quando entra nei meccanismi umani.
“E ‘i son passatz tre dis … ‘I àn sfurcjat la puarta, ‘i àn parat jù i armarons e al comodin. Jo ju spetave, platat sot al liet. “AH, DIU! ‘I SON RIVATZ I UMANS”.
Nicoletta Favaretto
Il liceo femminile “Santa Caterina da Siena” ha organizzato una festa. È la scuola di T ed E, e non mi è difficile procurarmi un ingresso. Mentre mi reco al bar del parco che ospita la festa rifletto divertito su come solo una scuola femminile possa organizzare la propria festa annuale la sera della prima partita della Nazionale. Arrivato sul posto presento il mio invito ai due culturisti di guardia, e l’organizzatrice mi consegna un buono consumazione. Si chiama S, e ha l’aria tesa di un regista esordiente la sera della prima. I suoi occhi scuri sono gentili, e la sua scollatura sta per esplodere. Interessante. Sorrido a lei e alle sue amiche, ma prima di poter intavolare una conversazione vengo investito da T. Ha un bel vestito nuovo senza spalline, e sta aspettando che arrivi il suo ragazzo. Il suo nuovo ragazzo, G. L’ho incontrato un paio di volte, e per quanto non sia esattamente nelle mie corde è certamente meglio di L. T mi presenta due amiche: I è bassa, paffuta e olivastra, mentre M è alta e atletica, con un viso dai tratti decisi. Carina. Il vestito nero le dona molto. Scambiamo qualche parola, poi muovo verso il vivo del party. Vengo deluso: E non si vede, e la festa sembra avere difficoltà a decollare. Tutti i maschi sono in disparte, a guardare la partita su un maxischermo, mentre le ragazze ciarlano a gruppetti. In un angolo un DJ pastrocchia pessima musica. Di colpo mi rendo conto di aver fatto un grottesco errore di valutazione: non ho calcolato che T ha due anni meno di me, e che è stata bocciata due volte. L’età media di questa festa è sedici anni. Di colpo mi sento vecchio. La prima ora passa senza sussulti, mentre sorseggio la mia Pepsi e violo continuamente la regola dei tre secondi*. L’evento più rilevante della successiva mezz’ora è costituito da L che si presenta alla porta in piena crisi di gelosia da ex possessivo. I muscolosi non lo fanno entrare, ma T diventa dolorosamente consapevole dell’enorme ritardo di G. A quel punto il DJ inizia a mettere sul piatto canzoni sopportabili, e lentamente si inizia a ballare. Gestisco male la cosa, ovviamente. Mai stato un buon ballerino, e le sottigliezze del rimorchio su pista da ballo mi sono aliene. Dopo aver ballonzolato senza scopo per una decina di minuti decido che è ora di una sigaretta. Esco dal bar e trovo T in lacrime. Non c’è che dire, ha un vero dono per trovare il ragazzo sbagliato. La consolo al meglio delle mie possibilità, le offro un tiro, e in quel momento parte “Hot Stuff”. Mercuriale come sempre, T si illumina in volto e schizza sulla pista. La inseguo, per accertarmi che non faccia sciocchezze e per riprendermi la sigaretta. La pista è più popolata, ora, e T inizia a flirtare con quattro ragazzi insieme. Ballo con lei, la maggior parte del tempo. So che il suo è solo un gioco, per prendersi una piccola rivincita sul suo ragazzo ritardatario, ma non voglio correre rischi. Da come balla, pochi capirebbero che sta giocando. Cerco anche di ballare con qualche ragazza, ma non sembro riuscire a stabilire un contatto. Dopo qualche minuto mi rendo conto che sto venendo evitato: le ragazze fuggono da me. Ho vent’anni, i peli sul petto, gli occhi affamati. Logico che le spavento. Due bimbette alte si e no un metro e quarantacinque mi si avvicinano, una delle due trascina l’altra. La vittima mi chiede quanti anni ho. Rispondo la verità, e le vedo fuggire un istante dopo. Mi fanno tenerezza, e mi sento ancora più vecchio. Aspetto la fine della canzone e poi siedo a riposare le mie vecchie ossa. Sono accanto ad M e I, e le ascolto parlare. M parla delle poesie macabre che scriveva alle medie e della voglia che ha di picchiare qualcuno. Sembra che abbia un delizioso lato oscuro, non troppo profondo, ma coltivato con cura sufficiente da rendere interessante una ragazza che fa venticinque ore a settimana di danza. Vorrei conoscerla meglio, ma non stasera, non dopo essere stato rifuggito da ogni ragazza presente. Ci sono cose più importanti del mio non battere chiodo: T è in crisi nera. È uscita di nuovo nel cortile, e sta piangendo. Io ed M la abbracciamo e le diciamo di non preoccuparsi. Mezz’ora dopo la partita è finita e G. si degna di arrivare. Osservo sconsolato il teatrino dell’incomunicabilità che ne segue e mi accendo un’altra sigaretta. T si fa venire a prendere da sua madre, io approfitto del passaggio e poco prima di arrivare a casa scopro che M, che contavo di rivedere, è una quindicenne. Serata persa, senza speranza.
*una volta stabilito contatto visivo con una ragazza, bisogna andare a parlarci entro tre secondi, per non perdere il coraggio e non passare per un maniaco.
Luca Nicolai
Per chi si trova a vivere a Gorizia il confronto con il confine rappresenta una tappa obbligata. Il confine non è però soltanto quelloche divide il territorio italiano da quello sloveno, ma anche quello – senza dubbio meno evidente – tra la città e l’università e ancora quello che separa i due atenei goriziani. Questo aspetto non è sfuggitoagli studenti del corso di laurea in Scienze internazionali e diplomatiche dell’Università di Trieste. Ed è da questa consapevolezza che nasce «Sconfinare». Ecco dunque il primo numero di quella che vuole essere da un lato un’occasione di confronto e riflessione all’interno del mondo universitario, ma anche un modo di aprirsi a Gorizia. Troppo spesso città e università vivono esistenze a sè, senza opportunità di scambiarsi esperienze e arricchirsi vicendevolmente. «Sconfinare» si candida allora a diventare lo strumento per superare quel confine che divide il colle che ospita il Seminario minore – oggi, appunto, sede del Polo universitario goriziano di via Alviano – da Gorizia e soprattutto dai goriziani. Non si concludono qui gli obiettivi degli studenti che hanno dato vita a questa nuova iniziativa editoriale. Il
giornale, infatti, avrà anche un’anima transfrontaliera attraverso la traduzione in sloveno dei principali articoli proposti in ogni numero. Nella speranza che continuino ad arricchire con i loro contributi la
realtà di «Sconfinare», i ringraziamenti della redazione vanno sin d’ora a Piergiogio Gabassi, Demetrio Volcic, Roberto Covaz e Pietro Neglie, senza dimenticare il Consorzio per lo sviluppo del polo universitario goriziano
Annalisa Turel
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