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‘Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.‘
Questo è ciò che cantava Giorgio Gaber, buonanima.
E’ una sensazione, questa, che accompagna noi italiani fin dall’infanzia. Un ambivalente amore-odio per la propria terra, paragonabile forse solo a quello che pervade i nostri cugini greci. Amore-odio che si trasforma in senso di colpa quando, zaino in spalla, alcuni di noi diventano emigranti.
Mi si chiede di scrivere qualcosa sulla mia esperienza all’estero. Cosa si aspettano che io dica? Mi trovo a Canterbury, in Inghilterra. Sono uno studente della University of Kent, e tutto funziona alla perfezione.
Forse, preferiscono che io dica: gli autobus sono sempre in ritardo; non si riesce a comprare un bicchiere di una grandezza quantomeno normale; la carne costa un’iradiddio, il pesce te lo raccomando; piove più o meno quattro giorni su sette (non che noi a Gorizia siamo stati abituati granchè meglio). Potrei continuare.
Preferirei, personalmente, dire che questo Paese funziona davvero. Ed essendo un Paese popolato da esseri umani, ha anche tanti -ma proprio tanti- difetti. E se mi chiedete se conviene passare un pò di tempo, o anche tutta la vita, per studio o per lavoro, nel Regno Unito, io vi direi: sì, se avete un pò di soldi da parte.
E qui potrei fermarmi a pensare. Al nostro atavico senso di colpa. Vi sto suggerendo di lasciare il vostro Paese, il mio Paese, perdio! Non posso negarlo. E non posso evitare di sentirmi colpevole. Di tradimento, certo.
La parte divertente è che il mio è un doppio tradimento. Io sono un meridionale che ha abbandonato il meridione a sè stesso. E poi, non pago, ha abbandonato del tutto il Paese. Senza cuore.
Potrei rispondere in diversi modi. Prima di tutto, e chi tra voi lettori è del SID lo sa bene, lavorare all’estero è scritto nelle stelle di chi sceglie di studiare relazioni internazionali e simili. Stupido è chi pensa che sicuramente rimarrà in Italia con un titolo del genere. Può succedere, ma è una probabilità piuttosto relativa.
Ma questa è una scusa futile. In questo modo, tolgo la foglia di fico dalle vergogne dei miei compagni di emigrazione, che studiano legge, medicina o quant’altro. Loro sì, potevano rimanere in Italia!
E allora, allora dobbiamo cercare un’altra motivazione. Sarà che odiamo l’Italia, o che, altro lato della medaglia, sarà che siamo irrimediabilmente esterofili. Noi italiani, d’altro canto, siamo famosi per la nostra esterofilia. Un pò come i ricchi russi dell’ottocento, che nei romanzi di Dostoevski infarcivano le loro frasi con del francese, che ci stava tanto bene.
Ma questa è un’accusa davvero ridicola. E, come tutte le cose ridicole, è la credenza più diffusa tra il parentame rimasto in Italia. Noi saremmo andati via per capriccio, perchè crediamo (erroneamente, sia chiaro) di trovare il paese di Bengodi poco oltre Chiasso, o il traforo del Frejùs. Io non so per quanto sarò emigrante. Per un anno, forse più. Forse per sempre, chi lo sa. Ma è una scelta difficile, e accusarmi di essere qui per un capriccio è un’offesa volontaria e che ferisce nel profondo.
Ferisce nel profondo perchè ci sentiamo in colpa, in ogni caso. Ed è spesso per questo che, una volta tornati, vomitiamo tutta la nostra angoscia su chi ci muove tali accuse; e ci scagliamo contro il Sistema italiano. Contro l’Italia che, immenso Leviatiano, ci imprigionava, ci tarpava le ali, ci negava ogni speranza.
Perchè, non è un pò vero? Che aria si respira in Italia? Stantìa, nevvero?
Come potete farci una colpa, dunque, se vogliamo scappare?
Ma la nostra, emigranti, è una colpa davvero. Gli altri sono rimasti a combattere, noi ce ne siamo andati. Che scusa abbiamo per questo? Che scusa ho di fronte a me stesso, per non essere rimasto a casa, al Sud, lavorando per ritrovare la dignità che quella terra un tempo aveva? E lo stesso vale per l’Italia.
Ma non sono rimasto. Me ne sono andato. E voi, cinici, tacete, vi prego. Non ditemi che ho fatto bene, e chissenefrega. Non fate gli uomini di mondo, non ce n’è bisogno. Sono già andato via.
Sono già andato via, come centinaia di migliaia di giovani italiani stanno facendo. E questo è un vero peccato, perchè l’Italia si svuota di braccia, e di teste. E io mi riprometto, come del resto gli altri come me, che un giorno, se raggiungerò una certa posizione, cercherò di riparare alla fuga. E’ una promessa futile, lo so. Non significa nulla.
E se c’è una cosa che mi frega, e che mi frega sul serio, è che sono felice di essere italiano. Ed è per questo che alla domanda ‘Perchè non sei rimasto ad aiutarci?’ rimango muto, e vagamente triste. Non c’è risposta.
Mi spiace, forse volevate sapere di più sull’Inghilterra. Sullo studiare all’estero. Però io vi ho avvertiti. Venite, se volete. Sappiate che il vostro senso di colpa ve lo porterete sempre dietro, e no, nulla, nemmeno la più sacrosanta giustificazione, lo potrà cancellare.
Vi sarà di sicuro capitato di tornare a casa, dopo un’estenuante giornata di lezioni e aprire il frigo per trovarlo desolantemente vuoto. “Ma non dovevi fare tu la spesa?” “Chi io? Ma non toccava a te?” per citare la parte più fine del dialogo derivante. Basta, da ora cercheremo di darvi qualche dritta su come spremere le vostre riserve senza deturpare il palato: l’era del tonno in scatola è finita!
Bene, quest’oggi proponiamo il seguente scenario: è mercoledì pomeriggio, giorno in cui i supermercati sono inesorabilmente chiusi. Alle 20 i compagni di calcetto del vostro coinquilino si presenteranno per cena con la fame dei giusti. Il vostro buon cuore vi impedisce di tagliare la corda e lasciare l’amico in pasto ai calciatori e vi offrite di aiutarlo. Cosa fate? Correte ad aprire il frigo e vi accorgete che questo contiene soltanto dei pomodorini secchi sottolio, un petto di pollo non proprio fresco e un panetto di burro. Vi fiondate a guardare nella dispensa e la vista di un pacco di spaghetti abbandonato a se stesso vi fa scendere una lacrima. Non preoccupatevi! Arrangiate una cosa del genere.
Mettete l’acqua a bollire. In una padella mettete una noce di burro, o dell’olio fa lo stesso, a scaldare. Mentre aspettate che l’acqua bolla tagliate il petto di pollo a pezzetti non troppo grandi e passateli nella farina e metteteli in padella a saltare. Se non avete la farina prendete della cipria dai trucchi della vostra coinquilina. Aggiungete un pizzico di sale e pepe per insaporire il pollo Prendete ora l’immancabile vino che vi ha salvato cento volte nelle vostre serate e buttatene uno spruzzo nella padella per sfumare la carne. Intanto, salate l’acqua che nel frattempo bolle e buttate la pasta. Avete 4 minuti ora, attenti! Tagliate i pomodorini e metteteli nella padella a insaporire il pollo e poco dopo unite un paio di cucchiaiate dell’acqua della pasta, per evitare che il condimento si asciughi e per dargli armonia. A quel punto scolate la pasta e mettetela in padella per il minuto restante girando bene in modo che assorba il sugo e spiattate.
Et voilà! La vostra squadra di calcetto sarà soddisfatta!
Se venite azzannati dai giocatori mandate i vostri reclami a daniele.cozzi@sconfinare.net
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