You are currently browsing the tag archive for the ‘carne’ tag.

Ventitrè maggio millenovecentonovantadue.

Diciannove luglio millenovecentonovantadue.

In cinquantasette giorni, la mafia riuscì a colpire lo Stato, nelle persone di Giovanni Falcone, nominato da appena un giorno nuovo Superprocuratore antimafia a Roma, e di Paolo Borsellino, Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo.

Da quei giorni sono passati sedici anni e poco più, e quindi qualcuno si potrebbe chiedere come proceda la lotta alla mafia, della quale Falcone e Borsellino sono stati protagonisti ma non certo iniziatori, e soprattutto, purtroppo, non le ultime vittime.

Un modo originale di rispondere a questa domanda è volgersi in tutt’altra direzione. Il nostro Parlamento, si sa, non brilla per alacrità, ma riesce comunque a produrre una certa quantità di leggi e decreti, il cui impatto, quand’anche sembri dimesso, spesso si rivela travolgente.

Ed eccoci, al Senato, al nove ottobre duemilaotto. E’ al voto un decreto legge che ha come obiettivo l’aumento di retribuzione per i magistrati in sedi disagiate. Ma, come spesso succede, il decreto è infarcito di paroline e di articolini che c’entrano come i cavoli a merenda. La norma che ci interessa recita: ‘L’articolo 36 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n.160, come modificato dall’articolo 2 comma 8 della legge 30 luglio 2007 n.111, è abrogato.’ Semplice, no? Mica tanto: significa, sempre che il decreto in questione passi anche alla Camera -il che non è scontato- che la norma varata dal governo Prodi, che vietava ai magistrati inquisiti ma poi assolti –e a cui quindi era concessa una ‘ricostruzione di carriera’- di poter occupare comuque posti di vertice oltre i 75 anni di età, è abrogata; significa cioè l’esatto opposto: che quella categoria di magistrati può ora occupare posizioni di vertice; e non ce ne sono tanti, in questa situazione: soprattutto, ce n’è uno solo che si è imposto all’attenzione dei –pochi- media che se ne sono interessati. Questo personaggio si chiama Corrado Carnevale.

Ora, bisognerà sottolineare l’importanza di questo nome ai fini della nostra vecchia domanda: in che stato è la situazione dell’antimafia, sedici anni dopo Falcone e Borsellino?

E Carnevale è molto, molto importante. Chi è, dunque, e perché si cerca di porlo in pole position per il ruolo di Presidente della Corte Suprema di Cassazione, con una norma ad hoc? Il ruolo è ora occupato da Carbone, che andrà comunque in pensione nel 2010, cosicchè rimarrà per Carnevale una finestra di tre anni (lui, in virtù di questa ‘ricostruzione di carriera’, andrà in pensione nel 2013, a 83 anni), che potrà sfruttare agilmente per essere eletto presidente: è praticamente certo, perché è il primo per anzianità.

Ma ancor più interessante non è tanto la norma, ma il personaggio in questione. Il suo soprannome era, ai tempi di Falcone e Borsellino, ‘l’ammazzasentenze’. Cosa faceva? In qualità di presidente della prima sezione della Corte di Cassazione, non faceva altro che essere molto pignolo: nel corso del tempo, ha cassato decine di processi a carico di mafiosi –ma non solo: persino uno contro la Banda della Magliana naufragò per sua decisione-, per via di difetti nella documentazione, come un timbro mancante, una virgola da spostare, una data imprecisa, e così via. Era inoltre nemico dichiarato del pool antimafia: sosteneva che quei magistrati fossero ‘sceriffi’, ‘armi rivolte contro i nemici politici della sinistra di matrice comunista’, e in particolare nutriva un odio profondo nei confronti di Falcone e Borsellino: li definiva ‘due incapaci’, e per lui Falcone era ‘faccia da caciocavallo’; il culmine lo raggiunse dopo la loro morte, quando esclamò: ‘Io i morti li rispetto, ma certi morti no.’ Giudizi confermati poi anche in tribunale.

Sì, perché Carnevale, che alcuni ben vedrebbero al vertice della Suprema Corte, il massimo organo della Magistratura, ha scavalcato la sbarra, passando da giudice ad imputato. Il processo a suo carico, iniziato nel marzo 1993, concluse una sua prima parte con la condanna (giugno 2001) della Corte di Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (pena: sei anni di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici). La Cassazione lo ha poi assolto nell’ottobre 2002 con formula piena, ma tra le polemiche per la dubbia esclusione di alcune testimonianze chiave, inficiate solo dal fatto che erano scaturite da fatti avvenuti in camera di consiglio; fatti che sono generalmente considerati coperti da segreto, ma non così quando al suo interno si consumano dei reati: in tali casi, secondo molti, la loro segretezza dovrebbe venir meno.

Questo non è, com’è evidente, il pensiero della Cassazione, che, venute meno tali prove (alcune altre testimonianze, provenienti dall’esterno della camera di consiglio, sono state inspiegabilmente coinvolte nell’annullamento generale), ha assolto Carnevale, liberandolo da ogni accusa.

Ora, bisogna distinguere tra legalità e opportunità: legalmente, Carnevale è da considerarsi innocente; ma è forse opportuno non tanto lasciarlo lavorare, cosa che non gli si può negare, ma addirittura adoperarsi positivamente per spingerlo ad occupare il vertice massimo della Magistratura?

Ecco chi è Carnevale. A che punto è, dunque, la lotta alla mafia in Italia? E’ pretestuoso accostare quello che sta accadendo in favore dell’ormai ottantenne ‘ammazzasentenze’ ad un giudizio sullo stato attuale dell’Antimafia?

Francesco Scatigna

Francesco.scatigna@sconfinare.net

4 novembre, nulla da festeggiare

 

Il 4 novembre, per chi non lo sapesse, è il giorno della vittoria. 90 anni fa, l’impero austro-ungarico si arrendeva al regio Esercito Italiano che, “inferiore per numero e per mezzi” e”con fede incrollabile e tenace valore … condusse la guerra ininterrotta ed asprissima per 41 mesi“.

Una data storica, non c’è dubbio. Per qualcuno una data da glorificare, come dimostrano gli ingenti investimenti del ministro La Russa (è stato addirittura creato un fondo apposito di 3 milioni di euro per evitare che il Ministero della Difesa dovesse pagare di tasca propria) per le celebrazioni di domani, in pompa magna. Spot televisivi, adunate, manifestazioni dell’Arma in varie città d’Italia, generali nelle scuole a raccontare la grande (e unica) vittoria militare che il nostro Paese può vantare. Una festa che, secondo il ministro, non va misurata “con il centimetro dell’euro, che è la misura di chi non ha altri argomenti per contestare qualcosa che invece sentiamo come doveroso, importante e necessario“, come “uno dei punti fondanti della memoria storica degli italiani“.

Anche se un piccola parentesi sull’ennesima bizzarria economica di questo governo (che taglia mostruosamente da una parte, e spende e spande dall’altra senza alcun minimo criterio) non intendo aprire una polemica riguardante gli sprechi. Riguarda proprio il merito dell’iniziativa, o meglio: cosa vogliamo festeggiare.

Se si intende fare del 4 novembre una festa patriottica, una festa che esalti una delle pochissime glorie della nostra nazione (certo, la I guerra mondiale potrebbe essere considerata come il compimento del Risorgimento… ma forse toccare questo tasto probabilmente farebbe storcere il naso ai leghisti di governo) bè, credo siamo fuori strada due volte. In primo luogo, per un falso storico: dipingere il nostro Paese come una grande potenza schierata dalla parte del giusto (le democrazie liberali) contro gli odiosi imperi centrali è una incredibile fesseria. L’Italia del tempo non si divideva solamente tra interventisti e non, ma anche tra filo Triplice Intesa e filo Triplice Alleanza; vendendo la propria modesta partecipazione al miglior offerente e muovendosi al margine del lecito (accordi Prinetti – Barrère) . Se poi vogliamo ricordare come l’Italia che ricaccia gli Austriaci sul Piave è la stessa che pochi anni prima riceve una pesantissima sconfitta dall’esercito etiope di Menelik II; e raggiunge Gorizia non certo conducendo una guerra gloriosa ma segnata negativamente dall’inettitudine, l’ignoranza, la crudeltà dei suoi generali che mandano poveri ragazzi italiani al macello…. bè, c’è davvero poco da celebrare.

E c’è ben poco da celebrare anche per quello che la prima guerra mondiale è stata, per noi italiani come per i nostri cugini europei. Una “inutile strage”, un massacro senza fine deciso e voluto dai potenti, ma combattuto (come sempre) dalla povera gente, dalla meglio gioventù di questo paese (650 000 morti costò all’Italia la partecipazione alla guerra) che andava a morire al fronte con la minaccia dei plotoni di esecuzione alle spalle.

Non c’è nulla di cui andare orgogliosi il 4 novembre. Non vi è nulla da celebrare. Domani è solamente un triste anniversario, il novantesimo anniversario della prima grande carneficina mondiale. Questo non vuol dire che non bisogna ricordare: è storia, e va’ ricordata. Ma io, i nostri generali nelle scuole, proprio non ce li vedo. E non mi faccio ammaliare dai plotoni intonanti davanti al pennone “Il Piave mormorava” – a cui comunque dovrei essere affezionato, considerando come questi bagni la mia città natale. Piuttosto, vorrei vedere un mondo che rinnova ancora il suo accorato e mai seguito appello: “mai più guerre”. Invece dei generali, annuncianti “la vecchia menzogna… Dulce et decorum est pro pratria mori“, ci vedrei le nostre maestre, recitare insieme ai bambini le poesie di Ungaretti, Brecht, Wilson. Le parole di chi la guerra l’ha fatta e l’ha scritta. Il cui messaggio, dopo tanti anni e troppo sangue, è ancora esule in Patria.

 

Matteo Lucatello

Matteo.lucatello@sconfinare.net

23.maj 1992-19.julij 1992

V sedeminpetdestih dnevih je mafiji uspelo ubiti bodisi v Rimu komaj imenovanega zastopnika proti mafiji: Giovannija Falcona,bodisi zastopnika javnega tožilstva mesta Palerma: Paola Borsellina.Minilo je šestnajst let,po katerih kdo bi se lahko vprašal kako napreduje vojna proti mafiji,pri kateri Falcone in Borsellino sta se izkazala za glavna junaka,a ne začetnika te iste in žal ne edini dve žrtvi.

Leggi il seguito di questo post »

Oltre al classico antipasto “prosciutto e melone”, particolarmente gradito nei pranzi estivi, il prosciutto di San Daniele, in virtù della sua dolcezza e della sua consistenza, si presta molto bene alla preparazione di prelibate ricette tipiche della cucina friulana. Vogliamo in questo numero proporvi i tagliolini, classico primo a base di San Daniele, e ancora più semplice ricetta a base di prosciutto e taleggio, in modo da scoprire le proprietà culinarie di questo prosciutto. Vi risulterà poi facile capire perché il prosciutto di San Daniele sia una specialità italiana conosciute nel mondo. Buon appetito!

 

 

Tagliolini al prosciutto di San Daniele

Ingredienti per 6 parsone

400g di tagliolini

200g di prosciutto di San Daniele da tritare (preferibilmente Gambetto)

50g di burro

200g di crema di latte fresca

6 fette di prosciutto di San Daniele

Semi di papavero

Preparazione

Passate il prosciutto al tritacarne grosso (in alternativa, richiedetelo già tritato al macellaio). Sciolto il burro in una padella, fatevi rosolare per un attimo il prosciutto tritato, aggiungendo la crema di latte e amalgamando bene. Una volta cotti i tagliolini, scolati bene e fateli saltare nella padella con la salsa. A questo punto disponete le fette di prosciutto su ciascun piatto e avvolgetevi i tagliolini in modo da creare un simpatico fagottino. Guarnite il fagottino con i semi di papavero e servite.

Pennette alla San Daniele

Ingredienti per 4 persone

300g di penne (integrali nella ricetta originale)

150g di prosciutto di San Daniele

100g di taleggio

Olio tartufato (circa 0,5g)

Preparazione

Tagliate il prosciutto a nastro per il lato più corto e tuffatelo nell’olio tartufato (si raccomanda di non esagerare con lìolio, onde salvaguardare il gusto del prosciutto). Tagliate il taleggio a dadini. Una volta ultimata la cottura della penne, predisponetele ben sgocciolate e ben calde e unite i dadi di taleggio. Mescolate bene, poi aggiungete il San Daniele con l’olio tartufato, mescolate nuovamente e servite.

Andrea Bonetti, Massimo Pieretti, Rodolfo Toè

Oca in salmì.

Allevata fin da tempi antichissimi, l’oca, una volta considerata “il maiale dei poveri”, risulta essere un prodotto tipico di molte località del Friuli. In particolare per quanto riguarda l’allevamento si segnala la città di Palmanova, tuttora considerata una “cittàdell’oca”.
Nella tradizione friulana si trovano molti piatti e prodotti a base d’oca, a cominciare dagli affettati come salame, prosciutto e lardo d’oca, perarrivare a piatti più raffinati come il patè di fegato d’oca, gnocchi al sugo d’oca e oca in salmì. Questi ultimi sono tipici di alcune feste popolari come la “Sagra dell’Oca” che si svolge ogni novembre a Morsano al Tagliamento.
Il piatto risulta piacevolmente vellutato al palato, con la carne che si sciogliein bocca e l’ottimo Refosco in abbinamento che sottolinea la delicatezza e la particolarità della carne d’oca. Si raccomanda di accompagnare il piatto con della polenta bianca molto morbida, come da tradizione. Sempre in tema di tradizione, gli amanti dell’oca possono tranquillamente preferire al Refosco (pure considerato il miglior prodotto a una nera della regione) il vino che più frequentemente, nella cucina tipica friulana, accompagna questa prelibata carne: il Pinot nero.

Ingredienti
1 ocamolto grande
1 bottiglia di vino rosso (merlot)
1 grande carota
1 costa di sedano
2 cipolle rosse
3 foglie di alloro
4 bacche di ginepro – timo fresco
3 chiodi di garofano
2 spicchi d’aglio
3 fette di lardo o pancetta
1 limone non trattato
Brododi verdura
Olio extravergine d’oliva
Sale e pepe nero

Preparazione
Pulite l’oca e tagliatela a pezzi, tenendo da parte le frattaglie.
Lavate, mondate e tagliate le verdure. In una casseruola unite il vino, le verdure, le spezie e l’oca.
Fate marinare la carne per almeno 10 ore. Poi scolatela e soffriggetela in due cucchiai d’olio, assieme all’aglio pelato e al lardo tritato.
Tritate insieme le verdure della marinata, le spezie e le frattaglie tenute da parte; quando la carne sarà ben rosolata, aggiungete il trito e la scorza di limone,salate e continuate la cattura a fiamma vivace, versandovi a filo anche il vinomarinato. Quindi abbassate la fiamma, coprite e lasciate cuocere per circa tre ore. Se il sugo si dovesse asciugare troppo, unite un mestolino di brodo.
Intanto preparate una polena bianca molto morbida. In Friuli si usa accompagnare l’oca con polenta bianca molto morbida, simile ad un puré di patate.

Buon appetito!

Flickr Photos

Commenti recenti

Anulik su Armenia e Nagorno Karabak…
Edoardo Buonerba su Benvenuti al Sud
Fabione su Un piccolo riepilogo sulla…
marzia su Agenzie interinali
dott. Luca Campanott… su Il Friulano non è una lin…

Blog Stats

  • 14.281 hits